Disturbo Ossessivo Compulsivo
Diagnosi: La paziente soddisfa i criteri del Disturbo Ossessivo Compulsivo in asse I, e manifesta tratti del disturbo evitante di personalità.
Età: 33
Stato civile: nubile
Titolo di studio: laureata
Sofferenza riportata:
Discretamente curata nell’aspetto.
Al primo impatto appare calma e controllata, poi mentre parla si nota che è tesa, più dalla gestualità che dall’espressione del volto: si aggiusta continuamente i capelli, li raccoglie sul capo e dopo un pò li riscioglie per raccoglierli nuovamente.
Si muove continuamente sulla sedia.
Afferma: - Gli altri non se ne accorgono del grado della mia ansia, ho imparato a camuffarlo benissimo-.

Prova una forte ansia per tutte le cose che possono darle responsabilità.
Di tutto quello che non va lei se ne attribuisce la colpa, finchè il carico diventa insostenibile, e come reazione, fugge da tutto.
La notte non dorme, prova una forte ansia e resta ad occhi aperti a rimuginare su eventuali errori commessi. (dorme di solito dalle 11.45 alle 2).
I pensieri intrusivi riguardano il tema del controllo, sono rivolti sia al passato che al presente in relazione ad eventuali errori commessi. Cerca di ricordare un elemento certo che la tranquillizzi e, non trovandolo, il suo stato peggiora.
Quando lavorava con compiti amministrativa, scriveva 2 volte per paura di dimenticare e, spesso, a causa dell’eccessiva tensione, scriveva i numeri sbagliati . L’ansia di per se tende a defocalizzarla dal compito, dando origine a un deficit attentivo.
Se si accorge di aver commesso uno sbaglio le prende il panico.
Non riesce ad uscire di casa se qualcuno non l’aiuta a controllare che tutto sia a posto, solo la presenza di un’altra persona la tranquillizza (si sente meno responsabile).
Se sta sola le prende il dubbio di non aver visto bene (come sul lavoro).
Effettua i controlli di gas, luce, acqua, interruttori, ecc. per 4 o 5 volte, a volte esce di casa per poi rientrare. Nel caso di una partenza i controlli durano anche ore.
E’ costretta ad alzarsi alle 4 del mattino prima di chiudere la casa quando deve partire.
Una volta uscita di casa cominciano i pensieri ossessivi che diventano ben presto martellanti e come una morsa le attanagliano il cervello.
Il dubbio sull’aver potuto sbagliare qualcosa nelle chiusure di luce, acqua, gas, ecc culminano dopo alcune ore di tormento nella conclusione che sta per succedere una catastrofe: allagamento, incendio, ecc.

Tutto questo la lascia senza fiato
e in preda ad uno stato di grande spossatezza tanto da arrendersi davanti all’inesorabilità degli eventi e crollare in uno stato di apatia totale in cui viene assalita da devastanti sensi di colpa.
Tali sensi di colpa fanno si che la paziente si autopunisca nei i giorni successivi, privandosi di qualsiasi attività piacevole, come anche mettere in ordine la scarpiera (la gamma delle attività piacevoli di cui dispone la paziente è davvero scarna e di poche risorse).
La sua vita è pervasa da una sensazione di indegnità, per cui non merita di essere felice e serena, al contrario, cerca di autopunirsi per ogni errore sia commesso che presunto.
«La mia vita non è vita, ho limiti nella vita lavorativa e sociale e vita sentimentale inesistente!»
In effetti non si può dire che la paziente abbia mai avuto una vera relazione sentimentale.
Esordio della patologia
Il disturbo è presente nell’area lavorativa da 10 anni, ovvero dagli ultimi tempi dell’università.
Ebbe lo scompenso poco prima della tesi che buttò nelle immondizie. Non fece la festa di laurea, al contrario, avrebbe voluto bruciarla.
In casa il disturbo è invece presente da 5 anni.
E’ degno di nota il fatto che il sintomo insorse in concomitanza con il venire meno delle critiche verso l’atteggiamento eccessivamente controllante dei genitori.
Storia personale
La paziente quando è arrivata in terapia viveva ancora con i genitori, cosa per lei assolutamente insostenibile.
I comportamenti di entrambi i genitori, soprattutto materni, manifestano un alto grado di intrusività e di controllo.
Ogni cosa di sua proprietà è frequentemente oggetto di ispezioni e spesso di censura.
La madre le cambia continuamente l’ordine degli indumenti nell’armadio, le passa al vaglio le lettere vecchie e nuove, e, non appena ne trova qualcuna che non si attiene alla sua morale, non esita a buttarla.
Le rovista quotidianamente la borsa, scompigliando l’ordine di foglietti e scontrini nel portafoglio, tanto che a volte non li ritrova più, e comunque mai nel posto dove li aveva messi.

Riferisce che il padre ha da sempre rappresentato per lei un vero tormento per i controlli eccessivi a cui la sottoponeva:
-Hai visto bene? Hai sentito bene? Ma sei sicura di poter uscire, hai chiuso bene? - La rimandava all’università a ricontrollare i voti che aveva preso.
Faceva altrettanto anche con se stesso, era “terribile”.
Se il padre accettava i voti che prendeva a scuola e all’università li paragonava a quelli di altri studenti che reputava costantemente migliori di lei, anche quando non lo erano affatto.
E’ stato sempre il padre a comprarle gli abiti, sia a lei che agli altri componenti della famiglia.
Mai un indumento femminile o colorato. Mi confida che un giorno le piacerebbe potersi comprare una maglietta con una fantasia a colori, forse in futuro lo farà.
La madre si comportava come il padre, a volte anche peggio: quando si arrabbiava non le rivolgeva la parola per giorni e giorni.
Ricorda un episodio in cui ha sbagliato porta in un ufficio: la madre non le ha parlato per tre giorni, dandole dell’incapace. Lei si impegnava sempre di più per farli contenti e afferma di aver avuto da sempre un forte senso di “responsabilità”.
I controlli eccessivi a cui era perennemente sottoposta la facevano stare malissimo, si sentiva incompresa: -prendo tutto solo dalla parte del dovere e mai del piacere, perché accanirsi così tanto contro di me? Ma, se nonostante tutti glielo dicano ai miei genitori di lasciarmi in pace, loro continuano a farlo, vuol dire che sono io ad essere sbagliata! – Così lei li giustifica condannando se stessa.
La loro casa nei suoi ricordi di quand’era bambina era sempre vuota, i genitori non avevano amici da frequentare, e anche a lei era negato portare i compagni di scuola. La motivazione era che la casa non era sufficientemente a posto, o nono erano abbastanza organizzati a ricevere qualcuno. Lei in queste situazioni provava una forte rabbia: perché tutti gli altri bimbi potevano invitare qualche amichetto a casa e lei no? Era invidiosa di sua cugina, alla quale era concesso tutto.
La madre l’ha sempre denigrata e insultata: -non sei in degna di allacciare le scarpe a nessuno!-
Lei reagiva con uno stato di nervosismo, la notte le prendeva l’ansia e non dormiva bene.
Da bambina non ricorda di aver ricevuto manifestazioni d’affetto da parte dei genitori, sia tra loro che tantomeno nei confronti dei figli.
Non ricorda di aver ricevuto mai un abbraccio o un bacio. L’unico contatto che ricorda è la presa al polso, non tanto per proteggerla, quanto per dirigerla verso un luogo o per sottrarla a situazioni o cose che doveva evitare.
Una presa ferrea, dura e senza amore, coercitiva e controllante.
L’unica che qualche volta l’abbracciava era la nonna, alla quale era moltissimo attaccata.
I genitori attualmente sono consapevoli del malessere che affligge la paziente e in parte anche dei loro sbagli, la vedono soffrire e si auspicano che trovi un lavoro a Firenze. Nonostante questo, non accennano a cambiare minimamente atteggiamento nei suoi confronti, perpetuano i controlli e le limitazioni, nonché le critiche. Si rivelano incapaci di modificare anche minimamente il loro atteggiamento.
Quando si è trasferita da in un’altra città, ha iniziato a frequentare l’università ma era completamente sola, non conosceva nessuno.
I genitori la obbligarono a chiudere con il passato e con i vecchi amici, tanto da impedirle di ricevere telefonate dagli amici. Soprattutto la madre, arrivava al punto di chiuderle la cornetta e di strapparle le lettere che le arrivavano. A suo dire tali amici la “compativano”. Farsi compatire nel pensiero materno equivaleva ad essere deboli, mentre l’obbiettivo principale che doveva perseguire la figlia era di rendersi forte e autonoma.
Secondo la madre il suo unico compito e dovere era quello di concentrarsi solo sugli studi, senza avere bisogno degli altri. Le dicevano che sarebbe stata per sempre una nullità.
Fu così che la paziente si chiuse sempre più sullo studio di materie che per giunta non la interessavano, con accanimento tale che finì per acquisire modalità ossessive. Si era isolata dal mondo e passava le sue giornate chiusa in camera a studiare.
A pochi mesi circa dalla laurea divenne sempre più ansiosa e cominciò a pensare che non avrebbe saputo sostenere neanche la minima contestazione che le avrebbero potuto fare in sede d’esame. La paura del fallimento prese il sopravvento. A volte non credeva di aver davvero superato tutti gli esami e tornava in segreteria a controllare più volte.
Anche dopo la laurea torna più volte in segreteria ad esaminare il materiale per paura che ci fosse qualche errore. Ricorda che in quel periodo stava molto male, passava le notti in bianco e soffriva di mal di stomaco.
I genitori non si accorsero di niente, per loro era “normale” il fatto che la figlia si fosse laureata.
Al momento della richiesta, desidera moltissimo trovare un nuovo lavoro, ma teme di non farcela a sostenere l’ansia, in grado di coinvolgerla in una situazione disfunzionale per cui, con l’acerbarsi del disturbo ossessivo compulsivo da cui è affetta, potrebbe perdere facilmente il posto di lavoro.
Alla domanda di come immagina la propria vita nel futuro, di come vorrebbe essere, risponde che si immagina da sola, con un lavoro soddisfacente ed una vita imperniata sull’autonomia.
E’ perfettamente consapevole dell’effetto deleterio del vivere a contatto con i genitori, tanto da ritenere di poter guarire solo a condizione di allontanarsi.
In effetti, ogniqualvolta ha un contatto prolungato con i genitori (per es. quando la vanno a trovare a Pisa, o in occasione delle festività), l’andamento della terapia subisce un peggioramento e un riacutizzarsi dei sintomi.
Fa vita isolata, non frequenta amici, non riesce ad avere una vera intimità con le persone.
Dopo un po’ si stufa, si distanzia. Ciò lo attribuisce al fatto che la madre non voleva mai nessuno in casa, per paura che non fosse tutto perfetto come avrebbe voluto e quindi di fare una brutta figura.
Non sa “quanto” sia giusto pretendere da se stessa nel distanziarsi dal criterio che le hanno inculcato i genitori, chiede aiuto per riuscire ad avere un parametro di giudizio più conforme alla norma.
Riporta l’atteggiamento di entrambi i genitori come altamente critico e controllante. Il padre la chiama spesso mentre lavora per chiederle se è sicura di aver controllato questo o quello, mentre la madre controlla ogni telefonata o cosa che faccia, criticando e giudicando sia lei che altre persone con cui interagisce.
Si rende conto del peso che hanno questi comportamenti sul mantenersi della patologia.
Come si genera e si mantiene la sofferenza secondo il terapeuta
La forzatura con cui la paziente è stata isolata dagli amici e dal mondo, ponendo come unico scopo dell’affermazione di se stessa lo studio e l’autonomia, è finita per divenire una modalità di sopravvivenza e incarnare un ideale di vita.
L’impossibilità di confrontarsi con il mondo esterno hanno fatto si che la paziente percepisse in modo univoco la rigidità dello stile familiare, privandola di senso critico verso tali atteggiamenti.
Questo ha reso il sé della paziente molto più debole e vulnerabile agli attacchi denigratori dei genitori tanto da portarla a mettere in dubbio le sue capacità di riuscita.
Da qui è presumibile che nasca la percezione di non essere in grado di affrontare situazioni dove si sente in qualche modo responsabile.

Lo scompenso è verosimilmente collocabile nel contesto di isolamento affettivo e sociale che ha subito la paziente durante l’ultima fase di università.
Il contesto in cui si sforzava di studiare con frenesia minacciata dalle incombenti critiche e svalutazioni dei genitori in relazione alle sue capacità a mio avviso hanno favorito l’insorgere della sintomatologia ossessiva.
In base ai dati di cui sono in possesso, ritengo interessante la correlazione tra il venir meno delle critiche verso gli atteggiamenti dei genitori e l’insorgere del sintomo. La colpa dai genitori si trasferisce a se stessa, ed è una colpa ipertrofica, che ne devasta la qualità di vita.
La paziente nutre profonda sfiducia in se stessa (se i miei non si fidano si vede che hanno ragione!), evento che va a rafforzare le compulsioni di controllo.
L’eccessiva paura del fallimento e delle sue conseguenze, pone la paziente in uno stato di allarme smodato e disadattivo, conducendola a svariati tentativi di controllo su ogni cosa di cui si senta anche minimamente responsabile.
In relazione alle credenze disfunzionali, il sentimento di inadeguatezza e di rifiuto ha verosimilmente origine dal non essere mai riuscita ad essere all’altezza agli occhi dei genitori. Inutile nel contempo si è dimostrato ogni sforzo nel tentativo di appagarli.
Il soggetto, inoltre, pare abbia sviluppato una sorta di intolleranza al controllo esercitato da altri su di lei, al punto di rifiutare esperienze affettive.
Fattori di mantenimento
Riguardo ai fattori di mantenimento, saltano inevitabilmente all’occhio il comportamento patogenetico di entrambi i genitori. E’ presumibile che il vivere ancora sotto lo stesso tetto possa costituire un importante fattore di mantenimento del sintomo.
Gli evitamenti conseguenti all’intolleranza che ha sviluppato per i rapporti interpersonali ne impoveriscono la qualità di vita, oltre a contribuire attivamente al mantenimento del sintomo.
Si è creato così un circolo vizioso di dipendenza dalle figure disfunzionali dei genitori che tendono ad isolarla dai contesti di vita sociale e la stimolano ad affermarsi in un modello di vita autonoma imperniata su esigenze di totale distacco dai rapporti umani.


Analisi degli scopi compromessi
Gli scopi che dominano la vita della paziente in ambito familiare e lavorativo appaiono quelli di esser in grado di fare le cose, di non essere una nullità e un’incapace e di essere autonoma sia nella vita privata che nel lavoro.
Nell’ambito delle relazioni personali e intime lo scopo perseguito sembra essere il mantenersi integra, evitare la gravidanza, scopo strettamente collegato alla forzata necessità di essere autonoma in ogni ambito della propria vita.
La dipendenza sia affettiva che relazionale da un figlio o da un compagno rappresentano per la paziente una grave minaccia alla conquista dello scopo dell’ autonomia.
La paziente presenta 3 nodi problematici del disturbo:
- Rituali ossessivi sulle chiusure di casa con pensieri intrusivi conseguenti
- Rituali ossessivi nell’ambiente di lavoro
- Evitamento dei rapporto con gli altri sia intimo che sociale
Strategia terapeutica:
Decido di iniziare la terapia con focus sui pensieri ossessivi realativi alle compulsioni di controllo, proponendomi di estendere successivamente l’intervento all’ambito del lavoro.
Ritengo utile basare la prima fase della terapia sul trattamento dei sintomi ossessivi, in quanto, dato il loro carattere di pervasività, impediscono alla paziente di poter disporre di sufficiente lucidità per affrontare altri ambiti problematici, oltre a contaminare la qualità di vita in modo altamente disfunzionale.
Ritengo che, affinché la paziente non disponga di un miglioramento della qualità di vita, non possa essere in grado, da un punto di vista cognitivo, di accedere ed elaborare le altre problematiche da cui è affetta.
Nel percorso di ristrutturazione cognitiva, penso sia importante rivalutare lo spirito critico e modificare l’autoattribuzione disfunzionale delle colpe, auspicandosi uno spostamento del locus of control dall’interno verso l’esterno.
Nel passo successivo intendo affrontare gli aspetti maggiormente legati al campo della personalità, che la portano ad evitare il contatto con gli altri e a temerne la vicinanza.
Il “congelamento” della sfera sessuale ed emotiva è da ritenersi un elemento altamente disadattivo che le impedisce di svolgere una vita normale.
I° FASE : trattamento del disturbo ossessivo compulsivo
1) Formulazione e condivisione del modello esplicativo sulle modalità del disturbo e del suo
mantenimento e del piano terapeutico.
2) Condivisione sulle modalità relative alla genesi del disturbo della paziente nello specifico
3) Identificare con la paziente una scala gerarchica gli effetti temuti
4) Far scrivere alla paziente il racconto di una giornata tipo
5) Esposizione
6) Accettazione: costi e benefici – doppio standard
7) Ristrutturazione cognitiva riguardo le assunzioni disfunzionali sui temi della colpa, inutilità e rifiuto

Andamento della terapia
La paziente si dimostra fin da subito molto collaborativa, condivide soprattutto la necessità di intervenire sul disturbo ossessivo, in quanto è consapevole che rappresenta il principale ostacolo nel riuscire ad affermarsi nel campo lavorativo, cosa per lei di primaria e insostituibile importanza, oltre a comprometterne la qualità di vita.
- Le spiego quali sono i principi della psicoterapia cognitiva con particolare riferimento alla genesi e al trattamento del disturbo ossessivo compulsivo. In proposito le do del materiale informativo da leggere a casa.
- Condividiamo un progetto terapeutico in cui il focus iniziale è sui rituali di chiusura di casa. Reputo opportuno che la paziente aumenti la concentrazione durante l’atto specifico di chiudere qualcosa, in quanto a mio avviso è affetta da una sintomatotologia ansiosa in grado di indurre un deficit attentivo con conseguente difficoltà di rievocazione mnemonica. A mio avviso è di per se un fattore in grado di peggiorare il pensiero intrusivo secondario alle chiusure.
- In secondo tempo estendiamo l’intervento all’ambito lavorativo dove è facilmente preda di uno stato di forte ansia, di per se in grado di indurla a fallire soprattutto i compiti che ritiene più importanti.
Nell’ambito lavorativo, se le dicono che sta commettendo un errore, prova una forte irritazione verso se stessa, si sente subito in difetto, per non aver “visto” quello che avrebbe dovuto vedere.
«Ho sbagliato ancora!! » Più una cosa è importante da controllare, maggiore è il livello di ansia che sale, incrementata dai pensieri automatici disfunzionali del tipo: -sicuramente sbaglierò, non sarò abbastanza attenta, sono un’incapace, ecc.
Il grado di contaminazione dei pensieri disfunzionali risulta essere direttamente proporzionale all’importanza che riveste il compito da eseguire.
Risultati:
Alla terza seduta dai 12 minuti di media che impiegava per la chiusura di casa è passata a 8 minuti, e successivamente a 6, necessitando solo di un doppio controllo.
All’undicesima seduta la paziente ha estinto radicalmente i rituali di controllo relativi alle chiusure di casa.
La riduzione dei tempi è avvenuta in modo progressivo, fino ad estinguere tali comportamenti totalmente. Afferma di essersi giovata molto della prescrizione di aumentare l’attenzione al qui ed ora nell’atto di chiusura.
La paziente è entrata automaticamente e spontaneamente in un’ottica di accettazione del rischio, valutando lo stesso in modo assolutamente realistico e funzionale tanto da arrivare a dire: «forse avrò lasciato la finestra aperta, ma che mai potrà succedere, al massimo entrerà un po’ d’acqua!» Ha sospeso l’assunzione di EN.
Successivamente abbiamo esteso l’intervento nel campo lavorativo: all’inizio la paziente veniva presa da una forte ansia nel controllare le pratiche che le erano sottoposte.
Il meccanismo ansioso era talmente invadente da pressarla con pensieri disfunzionali del tipo:
«sbaglierò sicuramente, fallirò come sempre, sono una nullità, perderò il lavoro, che ne sarà di me….» Tale stato mentale la portava, proprio nel momento in cui era indispensabile essere maggiormente vigile e lucida in uno stato confusionale e disattentivo, aumentando di gran lunga le possibilità di fallire il compito.
La paziente inizia a mettere in pratica le conoscenze e le tecniche per contrastare i pensieri intrusivi.
Avverte un graduale e progressivo miglioramento che si manifesta con una riduzione dei pensieri ossessivi secondari all’attività lavorativa svolta.
E’ riuscita la maggior parte delle volte a concentrarsi cognitivamente su quello che stava facendo, defocalizzando l’attenzione dai pensieri disfunzionali che la maggior parte delle volte le facevano perdere il controllo della situazione, con catastrofiche conseguenze per il suo benessere.
All’undicesima seduta, da uno stato disfunzionale che durava giornate intere, addirittura per un intero week-end, il tempo occupato dai pensieri intrusivi si è ridotto a 1 ora e mezza al massimo.
Anche l’intensità su cui si manifestano è decisamente minore: da un livello 10 siamo passati a un livello 5. Riformuliamo il focus della terapia sul controllare e ridurre le fasi acute
Nel complesso riesce a gestire i maniera efficace il contesto lavorativo a cui tiene particolarmente. Col tempo le pratiche da esaminare aumentano e, lentamente, comincia ad accettare il fatto che un certo margine d’errore sul lavoro, così come in ogni altro campo, sia lecito e umano.
Quando le danno la notizia che ha superato il periodo di prova è molto felice e soddisfatta, finalmente fiera di se stessa e dei risultati raggiunti, esperienza che possiamo definire correttiva.
Nel complesso il beneficio maggiore è avvenuto con la liberazione dai pensieri intrusivi che duravano anche alcuni giorni.
La paziente è in grado di sentirsi libera nel pensiero, tanto da riuscire a dedicarsi ad attività piacevoli e distensive. Si denota un notevole miglioramento della qualità di vita e del benessere della paziente.
Migliora anche la qualità del sonno, dove si manifestano solo sporadici episodi di risvegli notturni correlati a stati ansiosi.
Alla tredicesima seduta riporta di giovarsi di un notevole miglioramento anche nell’ambito familiare. E’ riuscita a dire ai suoi «dovete stare al vostro posto senza interferire nella mia vita o controllare e toccare le mie cose e oggetti personali, controllare quando e cosa mangio o quando torno a casa».
I genitori da quel momento hanno cominciato a rispettare il suo spazio personale con suo notevole sollievo. L’esser riuscita ad ottenere un contratto a tempo indeterminato nell’ambito lavorativo ha fatto si che si sentisse più forte e più serena, ma soprattutto le ha fatto conquistare fiducia in se stessa.
Ciò ha rappresentato un’esperienza ristrutturante che, oltre a modificare le modalità di pensiero della paziente, le ha dato forza nell’arginare l’invadenza familiare,
Attualmente nell’ambiente di lavoro si concede di poter commettere degli errori, e, in relazione alla paura di aver commesso sbagli molto gravi pensa: «anche se ho sbagliato la lettera sono ancora in tempo correggerla, alla peggio posso sempre mandare un fax di rettifica… E se poi fosse che alla peggio perdo il lavoro, ne troverò pur sempre un altro, così come sono riuscita a trovare questo!».
Decidiamo insieme di passare alla seconda fase della terapia, quella relativa alla difficoltà relazionale ed affettiva.
Dice che questo è un “osso duro” ed è consapevole che non sarà semplice, ma sa che lo “deve” fare per se stessa, per cercare di avere una vita normale, come tutti.
La Dott.ssa Jole Anna Panzera riceve presso lo studio Inpsychae di cui, con assieme al dott. Nicola Petrocchi ne è fondatrice.
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